Protagonista del mese

Lei fa parte del Comitato Tecnico per lo sviluppo del progetto e-Gov 2012 e a lei chiedo in che modo la tecnologia interviene per cambiare l'organizzazione nella Sanità

La mia collaborazione con il Ministero della Pubblica Amministrazione e Innovazione mia è cominciata circa due anni e mezzo fa, nel marzo del 2009.

Il Ministro Brunetta, nel gennaio 2009, aveva lanciato il Piano e-Gov 2012 e ha coinvolto me e Mauro Caliani, Responsabile dei Sistemi Informativi e Technology Assessment dell’A.USL 7 di Siena, per avere il supporto derivante dalle conoscenze di chi si era già misurato con le  problematiche reali che si incontrano nell’implementazione di progetti di sanità digitale.

La nostra attività si è estrinsecata nell’identificare una serie di azioni semplici, replicabili e di elevato impatto per l’utenza, che potessero effettivamente portare cambiamenti significativi nei processi di erogazione delle prestazioni sanitarie.

Il fatto di aver portato in questo ambito più di venticinque anni di esperienza sul campo ha aiutato sicuramente l’avvio di una serie di progetti: ho lavorato allo sviluppo del Fascicolo Sanitario Elettronico, della  Posta Elettronica Certificata, dei Certificati Digitali, del CAD (il Codice dell’Amministrazione Digitale)…

Quest’ultimo, in particolare, è un elemento estremamente importante all’interno della strategia del Ministero, perché ha reso possibile il cosiddetto empowerment del cittadino, cioè ha conferito al cittadino una serie di diritti che gli permettono di portare le proprie istanze presso la PA, in particolare presso la Sanità Pubblica, per ottenere servizi in formato digitale.

Un ulteriore elemento di questa strategia è stata l’introduzione, all’interno del c.d. Decreto Sviluppo, dell’obbligo di produrre il referto digitale, attraverso cui si concretizzerà il percorso per la realizzazione del Fascicolo Sanitario Elettronico del cittadino.

Rispetto all’interoperabilità e al discorso sugli standard, qual è la situazione reale dell’Italia?

Purtroppo il discorso interoperabilità è una vexata quaestio, nel senso che, a livello organizzativo, ci sono 21 diversi modelli di sanità digitale; quello che dovrebbe essere l’elemento che funge da minimo comun denominatore è proprio la costruzione dei sistemi informativi basandosi su standard internazionali.

Su questo noi stiamo lavorando intensamente, cercando di portare avanti delle soluzioni che risolvano il problema “dal basso” perché ci siamo resi conto che questa modalità è sicuramente più adeguata per la realtà italiana.

Ad esempio, per facilitare le aziende sanitarie che devono ottemperare alla norma di legge che prevede l’obbligo di predisporre i referti in formato digitale, stiamo lavorando con Consip per gestire, attraverso il mercato elettronico, l’acquisizione di soluzioni che siano compliant con gli standard internazionali.

Pensiamo a soluzioni che siano plug and play, gestite in modalità cloud (quindi immediatamente fruibili e scalabili sulla base delle esigenze delle aziende sanitarie), ma che possano essere acquisite anche in modalità tradizionale, ovvero come licenze da poter installare all’interno del proprio data center.

Quali sono le prospettive concrete per il futuro della sanità digitale?

Se vogliamo fare davvero dei passi avanti significativi, si possono fare solo con delle notevoli discontinuità rispetto al passato; io non credo alla politica dei piccoli passi, penso che in certe situazioni  e questa è una di quelle – dobbiamo cercare di pensare non ad un miglioramento frazionale rispetto al passato ma ad un salto epocale, più in alto ancora rispetto a quello che potrebbe essere un trend di evoluzione lineare. Come per l’avvento di Internet, che ha cambiato tutto in pochissimo tempo, noi dobbiamo fare questo tipo di passo in avanti; credo che ce ne siano le condizioni perché in questo momento il Paese è molto più pronto all’uso dell’Information Technology rispetto a prima, soprattutto se si riesce a far capire ai cittadini ed alle istituzioni che l’utilizzo di tecnologie digitali all’interno della sanità può cambiare radicalmente il paradigma organizzativo e può comportare dei notevoli risparmi, sia a livello di aziende e regioni, ma anche a livello dei singoli cittadini. Fino ad ora la tecnologia ICT è stata utilizzata, dal mio punto di vista, in un modo assolutamente improprio;  quello che le aziende hanno fatto per cercare di interpretare il cambiamento attraverso l’utilizzo della tecnologia è stato più nella logica dell’automazione che dell’informatizzazione. Per automazione intendo l’utilizzo di una modalità organizzativa di tipo analogico che viene semplicemente tradotta con strumenti digitali; quindi si continua a fare quello che si faceva con la carta, ma utilizzando strumenti digitali, tant’è che spesso si è parlato di cartelle cliniche che fossero l’esatta trasposizione del modulo cartaceo. L’informatizzazione vera invece, e con essa la logica del passaggio al digitale, significa cambiare radicalmente l’organizzazione, ripensando l’organizzazione attraverso un process re-engineering in una logica di utilizzo intensivo dell’ICT. Ciò significa non riutilizzare il paradigma analogico in ambito digitale, ma ripensare il processo attraverso l’utilizzo dell’ICT, per esempio puntando a tutti i controlli automatici che possono essere fatti attraverso i sistemi informatizzati. Ad esempio, nel momento in cui devo distribuire la terapia farmacologica al paziente, non utilizzo semplicemente la trasposizione informatica del registro  cartaceo, ma utilizzo un sistema che mi garantisca un controllo di congruità tra paziente, farmaco, interazioni del farmaco, l’orario di somministrazione, etc.  e faccio sì che il dato relativo alla terapia  distribuita vada in cartella clinica, per gli aspetti di tipo sanitario, ma alimenti anche i sistemi di valutazione economica per arrivare a sapere qual è il costo del singolo caso trattato. Questo significa utilizzare veramente al meglio la leva dell’Information Technology, nel momento in cui si va a ripensare il sistema in una logica in cui l’informazione è inserita in un unico punto, controllata attraverso sistemi di verifica embedded all’interno dei sistemi informativi, messa a disposizione di tutti gli attori che possono utilizzarla in tempo reale e tale da alimentare tutte le fonti che la devono utilizzare per qualsiasi scopo. In questo modo si riesce a fare effettivamente il salto di qualità, diminuendo le possibilità di errore, aumentando le possibilità di controllo, facendo sì che vengano tempestivamente segnalate tutte le situazioni di possibile spreco e tutte le situazioni in cui ci sono dei momenti di disequilibrio o di scostamento rispetto alle previsioni, potendo porre in essere le opportune azioni correttive.

E a livello nazionale, crede che ci si trovi tutti allo stesso livello in tutte le regioni o che ci siano delle disparità notevoli tra una realtà e l’altra?

Paradossalmente in questo momento le regioni che sono più pronte al cambiamento sono quelle che fino a ieri erano più indietro; tutte le regioni sottoposte al piano di rientro, fondamentalmente tutte le regioni del centro-sud Lazio incluso, sono quelle che in questo momento, proprio perché hanno una sanità “disastrata” in termini economici, hanno più bisogno di altre di andare verso la riprogettazione del modello organizzativo, perché quello precedente ha portato a situazioni di spesa fuori controllo. Quindi bisognerà fare esattamente quello che ha fatto la Germania quando ha dovuto integrare la Germania dell’Est:  puntare sulla tecnologia più innovativa per portarla allo stesso livello della parte più avanzata.

Questa è la via maestra per fare evolvere in tempi brevi le realtà più arretrate: per tutte quelle regioni che in questo momento si trovano in una situazione di difficoltà bisogna puntare a livelli di organizzazione più evoluti, basati sull’utilizzo intensivo dell’ICT, in modo da recuperare il gap che si è creato con la situazione precedente.

Quali sono le problematiche ancora presenti relativamente a sicurezza e privacy dei dati sanitari?

Innanzi tutto bisogna dire che l’ICT è molto più garantista rispetto all’utilizzo del dato in formato analogico/cartaceo perché, nel momento in cui utilizzo degli strumenti digitali, ho la possibilità di selezionare i soggetti che accederanno al dato, posso tracciare chi lo ha acceduto, perché l’ha fatto, in che modo, e che cosa ha fatto, cosa che non posso fare con un documento cartaceo che, posto su una scrivania, è visibile e accessibile a chiunque passi lì vicino. Quindi la garanzia in termini di rispetto della privacy e di sicurezza del dato è di gran lunga maggiore. Inoltre, ci sono situazioni in cui i dati cartacei possono essere molto facilmente deperibili, mentre una documentazione in formato digitale è molto più sicura anche in termini di persistenza, per due ordini di motivi: il primo, perché abbiamo dei sistemi di disaster recovery, che prevedono la gestione di una o più copie degli stessi dati in location distinte rispetto a quella dove risiede il dato originale; il secondo, perché abbiamo anche la possibilità – e anzi, la previsione da parte del CAD – che vengano utilizzati sistemi di disaster recovery ben più evoluti, tali da garantire la business continuity, ovvero la garanzia di una continuità di gestione anche in caso di eventi catastrofici nella sede dove i dati sono originariamente prodotti ed utilizzati.Questo è assolutamente essenziale per sistemi, quale ad esempio la sanità, che lavorano 24x7x365, ovvero che non possono tollerare l’interruzione del servizio.

Il Cloud può rappresentare una risposta efficace a queste esigenze?

Che il cloud possa essere una risposta efficiente ed efficace per risolvere le necessità della Pubblica Amministrazione è stato recentemente affermato in diversi convegni che hanno diffusamente trattato l’argomento. Vorrei invece soffermarmi su un aspetto che può sembrare anche un po’ nazionalistico ma che potrebbe rappresentare un volano per le aziende italiane; il Governo francese ha stipulato un accordo con tutti i maggiori operatori di telecomunicazioni e di gestione di data center per garantire che i dati della P.A. fossero gestiti in data center ubicati in Francia o, al massimo, nella Comunità Europea. Se venisse seguita una politica del genere anche in Italia verrebbe dato un notevole impulso all’industria nazionale e dall’altra parte si avrebbe la certezza che il dato, che appartiene alla P.A. comunque rimanga all’interno di un ambito ben definito.

Come componente del Comitato Tecnico per il piano e-Gov quali sono le prospettive immediate e quali le ricadute che potrebbero derivare dalla sua concreta realizzazione?

Ad oggi ci sono delle aree che si sono sviluppate maggiormente rispetto ad altre, ma era abbastanza logico, in quanto il piano e-Gov doveva essere una sorta di cornice all’interno della quale  inserire una serie di progetti; teniamo presente che il piano ha 27 aree e 80 progetti ad esse afferenti, quindi era chiaro che portarli avanti tutti quanti fosse arduo. Ci sono comunque degli ambiti in cui sono già stati raggiunti ottimi risultati: penso alla giustizia digitale, alla scuola e all’università, ed anche la sanità ha sviluppato  significative innovazioni rispetto alla situazione del 2009. La cosa che sarebbe auspicabile adesso, per realizzare quel salto di qualità di cui dicevamo prima, è un cambio di passo da parte del Ministero delle Finanze: in questo momento, infatti, il MEF non sta rispondendo con la necessaria prontezza ad una serie di sollecitazioni che stanno arrivando dal ministro Brunetta in merito ai decreti necessari per l’implementazione a livello operativo di progetti quali la ricetta digitale. Quest’ultima, da sola, comporterebbe un risparmio di 650 milioni di euro per l’abbandono del formato cartaceo ma, a livello complessivo di organizzazione del sistema, può significare un risparmio di 2,5 miliardi di euro all’anno. Nel 2010 Confindustria ha prodotto proprie elaborazioni, basate sullo studio “Best Demonstrated Practice eHealth Impact”, commissionato dalla Commissione europea a Booz Allen Hamilton; le stime ottenute sono state confermate da alcuni casi di studio realizzati nelle regioni Campania, Piemonte e Marche. Confindustria  stima in 12,5 miliardi di euro l’anno il risparmio derivante dall’introduzione complessiva all’interno del sistema Italia della sanità digitale, rispetto ad una spesa complessiva che è di poco più di 106 miliardi di euro, ovvero l’11,7 % all’anno.

Che dire a proposito del certificato digitale?

Il certificato digitale è stato l’elemento che ha scardinato le residue resistenze corporative dei medici di medicina generale verso lo strumento informatico, e ha perciò una valenza immensa, nel senso che in questo momento, grazie allo sforzo che i medici hanno dovuto fare per adeguarsi al dettato normativo, la medicina generale è l’elemento trainante della sanità digitale. A questo punto, c’è da fare uno sforzo residuo per adattare e far crescere la componente di sanità pubblica, soprattutto in ambito ospedaliero, che deve ancora adeguarsi a quelle che sono le prescrizioni normative. Mi riferisco in particolare alla produzione dei certificati digitali, ma anche delle ricette e dei referti, in ambito Pronto Soccorso e ambulatoriale, per tutta l’attività non prettamente diagnostica. Quello che stiamo cercando di fare, anche con l’esperienza di Consip cui facevo riferimento prima, è aiutare le aziende sanitarie a dotarsi di strumenti evoluti, al fine di consentire anche alle strutture non ancora adeguate di entrare a pieno titolo nel percorso di realizzazione della sanità digitale.

Il mio lavoro.

Il supporto che posso dare a chi vuole operare nel campo della Sanità Digitale riguarda: